Proprietà intellettuale: la Cassazione fa il punto sul diverso regime di responsabilità dell’hosting provider e del cacher

Proprietà intellettuale: la Cassazione fa il punto sul diverso regime di responsabilità dell’hosting provider e del cacher

Con due recenti sentenze, la Suprema Corte è tornata sul tema dei confini della responsabilità dell’hosting provider e del cacher.

La sentenza 19 marzo 2019, n. 7708 affronta il tema della responsabilità dell’hosting provider cd. “passivo”, ossia di colui che offre un servizio di mera ospitalità nei propri sistemi di contenuti altrui, senza manipolarli o altrimenti trattarli. Per essere considerato “passivo”, l’hosting provider deve evitare di compiere una serie di attività, quali, a titolo esemplificativo: attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio.

La Suprema Corte, ponendosi sulla scia di una consolidata giurisprudenza comunitaria, ha ricordato che la responsabilità dell’hosting provider passivo sorge, alternativamente, nei casi in cui egli sia effettivamente a conoscenza dell’illiceità dell’attività svolta o dell’informazione ospitata nei propri sistemi oppure quando, venuto a conoscenza di indizi di illiceità manifesta, non si sia attivato tempestivamente attraverso, ad esempio, l’eliminazione dei contenuti dai propri sistemi.

Detta sentenza precisa, inoltre, che la responsabilità dell’hosting provider sorge solo nell’ipotesi in cui la tempestiva attivazione dello stesso avrebbe potuto utilmente evitare o ridurre il danno: sotto questo profilo, spetta al danneggiato, quindi, provare l’inerzia del provider, mentre spetta a quest’ultimo provare l’impossibilità o l’inutilità di una sua eventuale attivazione.

Per quanto attiene alla nozione di “conoscenza” del fatto illecito altrui da parte del provider, essa si presume, salvo prova contraria, dall’avvenuta comunicazione ad opera del soggetto leso, a prescindere dalla sua eventuale comunicazione in forma scritta. Detta comunicazione, tuttavia, deve consentire al provider di individuare chiaramente i contenuti che si assumono lesivi, nonostante non sia necessariamente richiesta l’indicazione di eventuali indirizzi URL.

Con la sentenza 19 marzo 2019, n. 7709, invece, la Suprema Corte affronta il tema della responsabilità del cacher, ossia di colui che offre un servizio di memorizzazione automatica e trasmissione di informazioni al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari che ne facciano richiesta (c.d. “caching”). Il cacher, a differenza dell’hosting provider, non è tenuto ad attivarsi per rimuovere i contenuti illeciti memorizzati nei propri sistemi nel momento in cui ne viene a conoscenza, ma solo ad informare le autorità competenti per la tutela del diritto d’autore.

Il differente regime di responsabilità viene giustificato dalla circostanza per cui il cacher, limitandosi a compiere operazioni tecniche ed automatiche, non conosce né controlla le informazioni da lui trasmesse o memorizzate, con la conseguenza che egli non è tenuto ad attivarsi – a differenza dell’hosting provider – a rimuovere i contenuti illeciti e ad evitarne la ricomparsa.

Cass_7708_2019 Cass_7709_2019

CONDIVIDI