28 Gen Proprietà intellettuale: l’esonero da responsabilità non opera per il provider che utilizza mezzi tecnologici idonei a consentirgli, anche ex post, la conoscenza dei contenuti illeciti caricati dagli utenti (Trib. di Roma, Sent. 10 gennaio 2019, n. 693).
Con sentenza del 10 gennaio 2019, n. 693, il Tribunale di Roma ha condannato Vimeo, noto provider di servizi audio-video, per aver consentito la riproduzione di contenuti tratti da programmi televisivi in violazione dei diritti di proprietà intellettuale spettanti al licenziatario senza aver effettuato i dovuti controlli mediante i mezzi tecnologici a sua disposizione (nella specie, “video fingerprinting”).
Con la sentenza citata in epigrafe, il Tribunale, in accoglimento dell’orientamento giurisprudenziale prevalente in virtù del quale il prestatore di servizi online è qualificabile come hosting “attivo” ogni qualvolta intervenga nell’organizzazione e selezione dei materiali trasmessi, perdendo così la neutralità rispetto alla gestione degli stessi e ricavando profitti dallo sfruttamento pubblicitario connesso alla diffusione dei contenuti così organizzati, ha chiarito che l’attività di Vimeo sarebbe qualificabile quale hosting “attivo” e non “passivo”, con connessa inapplicabilità della predetta esimente.
Alla luce della giurisprudenza comunitaria e nazionale, l’applicabilità dell’esonero da responsabilità sancito dall’art. 14 della Direttiva 2000/31/CE e dall’art. 16 del D.lgs. 9 aprile 2003, n. 70 per il fornitore di contenuti digitali si basa sulla qualificabilità del fornitore di servizi on line come hosting provider “passivo”, con conseguente inapplicabilità di detta esimente per il caso hosting “attivo”.
Secondo il giudicante, in particolare, Vimeo sarebbe assimilabile a un servizio on demand che trae i propri profitti dal c.d. “effetto rete”, in quanto sfrutta la popolarità dei video condivisi gratuitamente per attirare clienti paganti; attività, questa, che presuppone una complessa organizzazione dei contenuti, i quali vengono selezionati, organizzati e correlati per offrire all’utente un servizio con determinate caratteristiche, a nulla rilevando che i contenuti vengano di fatto selezionati automaticamente mediante l’impiego di un software.
Per il Tribunale, infatti, affinché il provider possa considerarsi “attivo”, con conseguente disapplicazione dell’esonero da responsabilità, non è necessario che abbia avuto conoscenza diretta dei contenuti illeciti, ma è sufficiente che l’utilizzo delle tecnologie a sua disposizione gli consenta di conoscere e controllare i dati memorizzati attraverso la sua piattaforma.
Fermo restando che, alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, ad un prestatore di servizi non può essere imposto un obbligo generale di verifica preventiva sui contenuti trasmessi tramite la propria piattaforma, una volta ricevuta una segnalazione sufficientemente dettagliata dal titolare dei diritti violati, il provider è tenuto a comportarsi secondo correttezza e buona fede e adottare ogni ragionevole misura volta a impedire la trasmissione illecita di contenuti protetti da diritti di proprietà intellettuale altrui.
Rispetto ai contenuti della segnalazione da inviare al provider, il Giudice precisa che non è necessario che la diffida contenga l’indicazione univoca dell’URL di riferimento, ma è sufficiente che indichi chiaramente i titoli dei programmi televisivi su cui il titolare vanta diritti esclusivi di sfruttamento economico.
Di particolare interesse è, infine, il tema del calcolo del lucro cessante ai fini della determinazione del quantum risarcibile. Il Giudice, considerate le difficoltà di un calcolo dei guadagni derivanti dal c.d. “effetto rete”, ritiene più corretto fare ricorso al criterio del c.d. “prezzo del consenso”, secondo cui le royalties di riferimento vengono calcolate sul corrispettivo previsto per ogni minuto dei video oggetto di contestazione, considerando come parametro di valutazione, inter alia, i termini dei precedenti accordi raggiunti dal titolare dei diritti proprietà intellettuale.
TribRoma_2019_693 pdf