08 Gen Alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea presupposti e modalità dell’affidamento in house alla luce del Codice dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza 7 gennaio 2019, n. 138).
Con ordinanza n. 138/2019 pubblicata il 7.1.2019, il Consiglio di Stato ha rimesso alla CGUE la questione circa la compatibilità con il diritto dell’Unione Europea dell’art. 192, 2 comma, del D. Lgs. n. 50/2016 in materia di affidamento diretto a società in house, e dell’art. 4, 1 comma, del D. Lgs. n. 175/2016 in materia di vincoli alla partecipazione delle amministrazioni pubbliche in società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali.La vicenda trae origine dall’affidamento diretto del servizio di igiene urbana in favore della società in house di un Comune, società soggetta a controllo congiunto di più amministrazioni.
In prima battuta, il Collegio rileva che il Considerando 5, l’art. 12 della Direttiva 2014/24/UE e l’art. 2 della Direttiva 2014/23/UE sanciscono la piena libertà per le amministrazioni pubbliche di optare per un modello gestionale di autoproduzione. In particolare, per l’ordinamento dell’Unione la pubblica amministrazione può procedere all’esternalizzazione dell’approvvigionamento di beni, servizi e forniture solo se la strada dell’internalizzazione non sia effettivamente percorribile.
Al contrario, gli artt. 5 e 192 del D. Lgs. n. 50/2016 fissano delle condizioni rigorose per ammettere l’affidamento in house, che è opzione secondaria e residuale rispetto alle altre modalità di affidamento di servizi e lavori delle amministrazioni pubbliche e vi si può ricorrere solo in caso di dimostrato fallimento del mercato.
In particolare, il secondo comma del citato art. 192 prevede che l’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza sia assoggettato a una duplice condizione ossia (i) la motivazione circa le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato e (ii) l’indicazione dei benefici per la collettività connessi all’affidamento in house.
Quanto alla seconda questione, l’appellante contestava l’affidamento diretto ad una società che si configurava come organismo in house solo per alcune amministrazioni e non per altre. Tra queste ultime rientrava il Comune affidante, il quale invero non esercitava alcun controllo sulla società partecipata.
Il Collegio rileva la compatibilità di tale forma societaria con il diritto dell’Unione che ammette il controllo congiunto in caso di società non partecipata unicamente dalle amministrazioni controllanti.
Al contrario, il diritto nazionale ossia l’art. 4, comma 1, del D. Lgs. n. 175/2016 non consente ad un’amministrazione pubblica di acquisire una quota di partecipazione (inidonea a garantire controllo o potere di veto) in un organismo partecipato anche da altre amministrazioni, seppur intenda acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti all’organismo pluripartecipato.