04 Nov La richiesta di sottoscrivere e depositare un protocollo di legalità a pena di esclusione non contrasta con i principi europei in materia di appalti pubblici.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea definisce i limiti di utilizzabilità dei protocolli di legalità stipulati tra amministrazioni aggiudicatrici e imprese partecipanti al fine di contrastare fenomeni di infiltrazione mafiosa…
La questione pregiudiziale, sottoposta alla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella causa C-425/14, è stata sollevata dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia in relazione a una controversia che vedeva coinvolte tre imprese partecipanti ad una gara e diverse amministrazioni aggiudicatrici della regione Sicilia, nell’ambito di una procedura relativa all’affidamento di un appalto per il restauro di templi greci in Sicilia.
L’amministrazione aggiudicatrice aveva annullato l’aggiudicazione avvenuta a favore delle imprese E. e S., costituite in r.t.i., a seguito di un reclamo presentato dalla seconda classificata, per non aver le prime depositato, unitamente all’offerta, una dichiarazione di accettazione degli impegni contenuti in un protocollo di legalità. Le imprese escluse impugnavano la decisione di esclusione innanzi al T.A.R. Sicilia e questo respingeva il ricorso. Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, adito in appello contro la sentenza del T.A.R., ha sollevato quindi due questioni pregiudiziali così configurate:
«1) Se il diritto dell’Unione europea e, in particolare, l’articolo 45 della direttiva 2004/18/CE osti a una disposizione, come l’articolo 1, comma 17, della legge n. 190/2012, che consenta alle amministrazioni aggiudicatrici di prevedere come legittima causa di esclusione delle imprese partecipanti a una gara indetta per l’affidamento di un contratto pubblico di appalto, la mancata accettazione, o la mancata prova documentale dell’avvenuta accettazione, da parte delle suddette imprese, degli impegni contenuti nei c.d. “protocolli di legalità” e, più in generale, in accordi, tra le amministrazioni aggiudicatrici e le imprese partecipanti, volti a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli affidamenti di contratti pubblici.
2) Se, ai sensi dell’articolo 45 della direttiva 2004/18/CE, l’eventuale previsione da parte dell’ordinamento di uno Stato membro della potestà di esclusione, descritta nel precedente quesito, possa essere considerata una deroga al principio della tassatività delle cause di esclusione giustificata dall’esigenza imperativa di contrastare il fenomeno dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nelle procedure di affidamento di contratti pubblici».
Innanzitutto occorre rilevare che il procedimento principale riguardava un appalto di valore inferiore alla soglia di applicazione della direttiva comunitaria, per cui il primo nodo che la Corte ha dovuto sciogliere concerneva proprio la possibilità di sollevare la questione pregiudiziale in riferimento ad un articolo della direttiva (l’art. 45) che tuttavia non trovava applicazione nell’ambito del procedimento principale. La Corte, in virtù di una consolidata giurisprudenza, ha superato l’impasse osservando che è permesso alla Corte indicare al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi che possono essere utili al fine di risolvere la controversia, anche se nell’ordinanza di rinvio il giudice nazionale ha fatto riferimento solo ad alcune disposizioni del diritto eurounitario. Altresì la Corte ha il dovere di trarre dall’atto di rinvio e dalla sua motivazione gli elementi del diritto dell’Unione che necessitano un’interpretazione. Facendo leva su tali considerazioni e alla luce di quella giurisprudenza costante, che ritiene applicabili anche agli appalti sotto soglia i principi generali di matrice europea, in particolare i principi di concorrenza e non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento, la Corte ha sostanzialmente “corretto il tiro” relativamente alla prima questione, spostandola da un problema di interpretazione dell’articolo 45 della direttiva ad un problema di interpretazione dei principi generali e delle norme fondamentali del diritto dell’Unione europea, mentre ha reputato non necessario risolvere la seconda questione sollevata, in quanto vertente specificamente sull’articolo 45 della direttiva, non applicabile al procedimento principale.
Passando poi all’esame della questione pregiudiziale, nella riformulazione operata dalla Corte stessa, la sentenza rileva innanzitutto che gli Stati, nell’adottare misure volte a tutelare la concorrenza e la parità di trattamento, conservano un certo margine di discrezionalità. Poiché i protocolli di legalità sono finalizzati a contrastare fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata, essi svolgono una funzione anche di tutela della concorrenza e della trasparenza, dal momento che i condizionamenti criminali esercitati nel settore degli appalti pubblici generano antigiuridiche alterazioni della concorrenza. Resta pertanto dimostrato che l’obbligo di accettazione dei protocolli di legalità, lungi dal determinare un’indebita restrizione della concorrenza o un vulnus alla parità di trattamento, risulta al contrario funzionale proprio alla loro tutela.
Tuttavia una tale dimostrazione non è sufficiente per affermare la compatibilità della misura in esame col diritto dell’Unione; la Corte ha anche dovuto vagliarne la proporzionalità, ovvero la non eccedenza rispetto a quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che è quello di ostacolare le attività criminali e la distorsione della concorrenza. La sottoscrizione dei protocolli di legalità anticipa la soglia di tutela contro le infiltrazioni mafiose, in quanto costituisce condizione di ammissione alla procedura; data la gravità del fenomeno mafioso e la forza deterrente dell’accettazione degli impegni di cui ai protocolli di legalità, sin dall’inizio della procedura, la Corte ha escluso che questi possano essere considerati eccedenti rispetto al loro scopo.
Dopo aver esaminato l’obbligo di sottoscrivere i protocolli in sé e per sé, la Corte è passata a scrutinare il contenuto che tali protocolli possono assumere. Ha pertanto considerato accettabili le clausole previsioni vertenti sul “comportamento leale del candidato o dell’offerente nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi nel procedimento principale e sulla collaborazione con le forze dell’ordine”, clausole che sono state considerate proporzionate rispetto alla finalità di contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici.
Al contrario, la Corte ha valutato negativamente le clausole che impongono al partecipante di dichiarare che non si trova in situazioni di controllo o collegamento con altri concorrenti e che non si è accordato o si accorderà con altri concorrenti. In tutti questi casi, le clausole generano degli inaccettabili automatismi, perché comportano l’esclusione delle partecipanti che non dichiarano l’assenza di situazioni di collegamento o di accordi, senza possibilità di accertare il nocumento ai principi di concorrenza e trasparenza e senza permettere alle imprese non dichiaranti di dimostrare che i loro accordi o collegamenti non pregiudicano la libera concorrenza, e ciò in contrasto con la giurisprudenza europea e con gli orientamenti della Commissione. È altresì sproporzionato l’impegno a non subappaltare lavorazioni a imprese partecipanti alla gara: anche qui la clausola introduce una presunzione di collusione tra l’impresa aggiudicataria e la subappaltatrice, senza possibilità di prova contraria per le imprese. Relativamente a questo tipo di impegni la Corte ha anche osservato che le clausole considerate proporzionate e legittime già sono in grado di scongiurare la possibilità che mediante indebiti condizionamenti e pressioni le imprese partecipanti inducano l’aggiudicataria a subappaltare a loro determinate lavorazioni, e pertanto tali impegni risultano non necessari, rispetto all’obbiettivo di contrastare le infiltrazioni mafiose e criminali.
La Corte ha quindi statuito quanto segue:
“Le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale in forza della quale un’amministrazione aggiudicatrice possa prevedere che un candidato o un offerente sia escluso automaticamente da una procedura di gara relativa a un appalto pubblico per non aver depositato, unitamente alla sua offerta, un’accettazione scritta degli impegni e delle dichiarazioni contenuti in un protocollo di legalità, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, finalizzato a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici. Tuttavia, nei limiti in cui tale protocollo preveda dichiarazioni secondo le quali il candidato o l’offerente non si trovi in situazioni di controllo o di collegamento con altri candidati o offerenti, non si sia accordato e non si accorderà con altri partecipanti alla gara e non subappalterà lavorazioni di alcun tipo ad altre imprese partecipanti alla medesima procedura, l’assenza di siffatte dichiarazioni non può comportare l’esclusione automatica del candidato o dell’offerente da detta procedura.”
Testo integrale della sentenza
C-425_14